ArcheoFOSS 2020
Analisi e confronto di formati spaziali aperti e non aperti per la ricerca archeologica

Andrea D’Andrea

dandrea@unior.it

https://unior.academia.edu/AndreaDAndrea

Andrea D’Andrea, Direttore del Centro Interdipartimentale di Servizi di Archeologia dell’Università di Napoli L’Orientale. Dal 2010 è il direttore della Missione Archeologica ad Abou Ghurab (Cairo, Egypt). Dal 2019 è il vice-direttore della missione archeologica ad Al Baleed (Oman). Nel 2012-2015 ha coordinato per l’Università di Napoli L’Orientale il progetto Europeo “3D_ICONS”. Nel 2015 è stato capo-progetto nel Piano della Conoscenza del Grande Progetto Pompei per la Regio VIII di Pompei. È autore di una monografia sulla documentazione archeologica gli standard ed il trattamento informatico. Ha pubblicato oltre 100 articoli su alcune importanti riviste italiane ed internazionali.

Francesca Forte

https://unior.academia.edu/FrancescaForte

Francesca Forte è dottoranda presso il Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università di Napoli “L’Orientale”, ha ricevuto dal giugno 2019 una borsa di studio dalla Regione Campania nell’ambito dei dottorati innovativi a caratterizzazione industriale. Francesca Forte vanta al suo attivo diverse pubblicazioni ed esperienze internazionali con importanti centri di ricerca (CISA UNIOR di Napoli, Vast-Lab, Cyprus Institute, Scuola Archeologica Italiana di Atene). I suo ambiti di ricerca prevalenti sono l’analisi di standard e metadati per il 3D, il GIS e analisi spaziali e le banche dati relazionali. Nel 2020 ha collaborato al corso di “Topografia antica” presso l’Università “L’Orientale” di Napoli.

Le reti satellitari GPS, le celle radio utilizzate per la telefonia mobile e l’emergente Internet of Things, consentono di tracciare e correlare la posizione di persone e oggetti in modalità talmente precise fino a poco tempo fa impensabili; per questo motivo, all’interno del flusso di dati che vengono raccolti quotidianamente, i dati geo-spaziali occupano un posto rilevante nella prospettiva dei big data. Nel 2017 l’OGC (Open Geospatial Consortium) ha pubblicato un white paper con l’intento di definire approcci più efficienti per il trattamento dei big data geo-spaziali. Attraverso l’identificazione di best practice per far fronte alle moderne sfide di gestione di grande quantità di dati, è possibile usufruire di nuovi strumenti e tecnologie per gestire la visualizzazione, l’analisi e l’integrazione dei big data geo-spaziali, riuscendo finanche a individuare correlazioni sconosciute e ad estendere i domini di conoscenza. Un ruolo chiave nel processo di creazione di infrastrutture di gestione dei big data è occupato dagli standard aperti. Tale approccio garantisce l’affidabilità dei dati, permette la loro corretta divulgazione e ne consente un valido riutilizzo in diversi domini di applicazione.

Nell’ultimo decennio, anche nell’ambito della ricerca archeologica sono state pienamente comprese le potenzialità dell’utilizzo dei formati standard per la pubblicazione in rete di banche dati territoriali e dei relativi risultati di analisi geo-spaziali. Parallelamente, si è assistito a una proliferazione di standard e di formati aperti di interscambio, nonché di direttive nazionali ed Europee: tra queste ultime si segnala la direttiva INSPIRE emanata con l’obiettivo di favorire la creazione di una infrastruttura nazionale per rendere omogenee e condivisibili informazioni geo-referenziate di carattere ambientale. L’Open Geospatial Consortium conta, ad oggi, 69 standard per la descrizione di dati geografici. A questi si aggiunge lo SHAPEFILE, un formato proprietario oramai divenuto uno standard per l’analisi spaziale. Con queste premesse, è facile intuire come i ricercatori – anche in campo archeologico - spesso si trovino davanti a una moltitudine di formati, standard e non, tra cui risulta difficile orientarsi nella scelta, soprattutto in funzione della visualizzazione, della long-term preservation dei dati e della interoperabilità delle banche dati geografiche.

Il dato spaziale in archeologia ha un’importanza straordinaria nella ricostruzione del passato consentendo a vario livello di individuare pattern territoriali oppure di localizzare funzioni particolari all’interno delle aree urbane. Per queste esigenze specifiche di ricerca la registrazione spaziale dei dati riveste un ruolo determinante nel processo di ricerca archeologica e quindi di comunicazione soprattutto nell’ottica della condivisione dei dati aperti. Ma l’archeologo stesso, a sua volta, adopera informazioni spaziali già presenti sulla rete e messe a disposizioni da altre istituzioni di ricerca, di gestione o di pianificazione del territorio.

Questo contributo intende fornire un’analisi sugli standard utilizzati nelle banche dati online e nei geo-portali regionali e nazionale, per quel che riguarda le informazioni archeologiche, effettuando una mappatura delle risorse presenti in rete, per individuare gli effettivi livelli di interoperabilità. Particolare attenzione è stata posta al confronto tra i formati standard maggiormente presenti nelle infrastrutture digitali per descrivere le singole risorse (es. GML), i geo-database (es. GeoPackage) e la sfera 3D (es. CityGML), individuandone punti di forza e criticità. L’obiettivo è stato quello di evidenziare le caratteristiche tecniche dei formati analizzati, per comprendere quali siano le strategie e le prospettive e come questi dati possano interagire in modo efficace con differenti applicazioni in campo archeologico.